mercoledì 10 febbraio 2010

ma l'aragosta...cruda

Un settembre ero a Panarea, nelle Eolie. Accompagnavo spesso Tanino, un pescatore che all’alba partiva con la sua piccola barca dal porticciolo dell’isola. Quando eravamo nei pressi di un isolotto disabitato, dove in alcuni mesi dell’anno venivano portate su barconi le pecore a pascolare, mi tuffavo e cominciavo la mia piccola battuta di caccia subacquea in apnea. Il mare era pescoso e con un po’ di fortuna riuscivo a catturare una cernia mentre Tanino disponeva le reti. In quelle lunghe mattine di sole mi raccontò la storia dell’isola e le leggende in cui si parla di apparizioni demoniache, dei parenti emigrati in Australia e della sua vita. Io lo ascoltavo e lo sentivo amico. Guardavo le sue mani indurite dal lavoro e dalla salsedine, il suo viso giovane già segnato dalle rughe, pensavo a sua moglie che era bella, ma che non sorrideva mai. L’ultima settimana di permanenza nell’isola uscivo con lui tutte le mattine; sino all’ultimo giorno dovetti insistere per fargli accettare il pesce che riuscivo a cacciare e, regolarmente, egli cercava di sdebitarsi invitandomi a pranzo (furono le ultime battute, perché sono diventato contrario alla caccia). L’ultimo giorno mi disse che non potevo declinare il suo invito perché sua moglie mi aveva preparato una specialità. Ricordo ancora quegli spaghetti alla Norma (piatto catanese dedicato a Bellini, diffuso in molte province siciliane), con il sugo fatto con i pomodorini appesi a grappolo alle pareti bianche della casa per farli asciugare e le melanzane fritte, il generoso vino bianco e, soprattutto, la gustosa aragosta che venne cucinata in mio onore. Trovavo commovente tanta premura e cercai, a mia volta, di onorare i miei ospiti non esitando a servirmi di quelle carni bianche e gustose dal sentore di mare, di scoglio e dal sapore gradevolmente dolce. Pranzammo all’ombra di un pergolato e di fronte a noi l’azzurro intenso del mare rifletteva i bagliori dei raggi che cadevano a picco. Il panorama, l’emozione, la circostanza fecero di quel frutto del mare uno dei più gustosi tra quelli che, sino a oggi, ho potuto gustare. Però il mio modo preferito di gustare l’aragosta è cruda. Separo, servendomi di un coltello, la testa dalla coda; taglio il carapace di quest’ultima da entrambe le parti, estraggo la polpa, la privo del filo intestinale e la immergo in acqua ghiacciata lasciandovela 10 minuti. Poi la asciugo e la taglio a fettine spesse 3-4 millimetri e la condisco con un filo di olio evo, oppure servo a parte salsa di soia al wasabi.

venerdì 5 febbraio 2010

Carbonara di mare


Un giorno in un piccolo ristorante, dalla piccola cucina, che però si ritiene un grande ristorante dalla grande cucina (e si atteggia in tal senso) ordinai una carbonara di mare. La carbonara, in qualsiasi versione, è un piatto che solo a vederlo comunica un senso di buonumore perché il giallo, che è la nota dominate, in cromoterapia è il colore dell’allegria. Quando vidi arrivare un piatto grigiastro non sapevo di non avere ancora toccato il fondo. Il grigiore era dato da miseri tocchetti di pesce spada affumicato che conferivano un aspetto desolante a quella modesta portata che avrebbe depresso anche un ottimista per vocazione. Ma il peggio arrivò all’assaggio. Il piccolo chef aveva, da scriteriato, fatto saltare in padella il pesce spada come fosse pancetta, dimentico che così trattando un pesce affumicato, questo diventa particolarmente salato, “aringoso”, secco, soprattutto se affumicato a freddo (come far cuocere un caviale non pastorizzato). Allora capii che non bisogna mai delegare neanche in cucina. Per cui da allora la carbonara di mare la mangio solo in privato. In pratica, come quella terragna, la preparo con i soli tuorli, elimino il formaggio, avvolgo con fette sottili di pancetta una noce di cappesanta e qualche gambero o scampo, facendoli saltare in padella sin quando la copertura è croccante; nella stessa padella faccio saltare altri crostacei e cappesante senza copertura, e completo la preparazione con pancetta croccante a cubetti o a fettine. Il piatto è pronto. In quello fotografato, forse per esorcizzare la povertà desolata che aveva lasciato in me quella portata ancillare, ho aggiunto eccezionalmente una “calamarata” e semi di sesamo. Alla carbonara di mare abbino il superbo Oltrepò Pavese Metodo Classico Riserva del Poeta, da uve pinot nero e chardonnay.


di Fabiano Guatteri